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Il cocente sapore della sconfitta, visto con gli occhi di un pallavolista

Il cocente sapore della sconfitta, visto con gli occhi di un pallavolista

I momenti immediatamente successivi ad una sconfitta e la necessità di reagire. Il racconto di un pallavolista

 

Come di consueto, per il nostro BLOG “Non solo Volley”, ci occupiamo dei valori che questo fantastico sport ci insegna.

Sì, perché lo sport rappresenta una scuola di vita. Imparare a vincere nello sport, ti aiuterà a farlo più facilmente anche nella vita di tutti i giorni ma, purtroppo, non sempre si può vincere e, imparare a gestire le sconfitte, è molto più complicato…

Oggi, vogliamo focalizzare la nostra attenzione proprio su questo aspetto. A tutti capita una cocente sconfitta in una carriera, anzi, purtroppo ben più di una.

COME AFFRONTIAMO LA SCONFITTA? SIAMO CAPACI A REAGIRE?

Nel pezzo di seguito, una descrizione dei momenti successivi a quelli in cui cade l’ultimo pallone. Quello che sancisce il KO, la sconfitta. Quello in cui ci sembra ci sia caduto tutto il mondo addosso. Sacrifici, tempo, rinunce che vanno in fumo.

MA BISOGNA REAGIRE. BISOGNA RIALZARSI. E condividiamo questo articolo con voi, per capire come farlo.

 

“Te ne stai li seduto sulla panchina degli spogliatoi con i gomiti appoggiati alle ginocchia e la testa china, le ginocchiere sono abbassate, dopo esserti tolto il nastro dalle dita ti guardi le scarpe e inizi a slacciarle con un gesto che confonde stizza e

rassegnazione perché vorresti rigiocare mille volte quella partita sapendo che non andrebbe ancora così.


E’ lì, è in quella posizione che ogni atleta si è ritrovato almeno una volta nella sua carriera.


Ecco un altro “lato B” quello della sconfitta o della brutta prestazione personale, non quello agli occhi di tutti, bensì quello che si cela al di là della porta degli spogliatoi dove si nasconde un mondo intero sconosciuto a chi sta fuori, non quello fatto di

critiche sul giornale o di saluti con il sorriso forzato a fine patita a chi era sugli spalti, non quello che si vela di un’ “educazione professionale” quando si è costretti a mettere il c**o in panchina o portare a termine una prestazione da dimenticare senza

avere il famoso “muso” bensì ostentare tranquillità.


No! Parlo del lato B quello che ti rimane dentro, quello che ti rimane addosso, quello che non ti fa dormire la notte stessa e ti fa sembrare il giorno dopo un po’ più grigio e pesante, quello di cui ti liberi solo quando rientri in palestra e ricominci ad allenarti

la settimana successiva.


Sai che hai sbagliato e spesso ti destreggi tra prenderti colpe e darne a chi ti circonda, eppure avrai attaccato, battuto, ricevuto… almeno un milione di volte, quante volte hai ripetuto ognuno di quei gesti senza sbagliare?! Malgrado ciò ci son giornate in

cui sembra che le braccia abbiano la forma di un Toblerone, che nella lettura del gioco ti abbiano bendato gli occhi, che negli spostamenti le stringhe delle due scarpe siano allacciate insieme e che al posto della mano ci sia un piede di porco.


E’ qui e in tutto questo che la pallavolo si insinua con il suo modo subdolo di metterti sempre in competizione anche con te stesso, bisogna essere pronti a far la cosa giusta nel momento giusto e anche se non dovessi mai toccar la palla devi coprire la tua

zona, insomma DEVI ESSERCI ANCHE QUANDO NON CI SEI! E’ fondamentale essere sempre lucidi perché questo sport ti insegna che ogni errore è un punto per gli altri.


Quante volte ci si ritrova nel ritorno da una trasferta andata storta con la musica nelle orecchie e lo sguardo fisso fuori dal finestrino accompagnato da una sensazione che ti sta addosso, di cui non ti liberi, fastidiosa come un paio di scarpe strette che vorresti solo togliere ma non puoi.


Le domande rimbalzano in testa, lo sconforto a volte fa va
cillare la sicurezza in se stessi e il nervosismo ti porta ad esser poco tollerante con tutto ciò che ti circonda.


Non ho mai conosciuto atleti che facessero campionati illibati, ma ho conosciuto giocatori che hanno saputo accettare le “partite no” e hanno avuto la capacità di dimostrare la volta successiva che il loro valore non fosse cambiato, convincendomi sempre

più che la forza di un giocatore non sta nel non cadere ma nel sapersi rialzare velocemente.


Il mondo è fatto di belle frasi e begli intenti ma purtroppo credo che a volte siano un po’ utopistici, soprattutto nello sport son convinta che anche la stagione perfetta abbia i suoi nei, che si possa perdere o sbagliare ma la cosa fondamentale sia non

vivere nella “PAURA DELL’ERRORE”, più ci convinciamo di non poter sbagliare più sarà probabile che questo accada.


Funziona tutto come il gioco che si fa da piccoli quando si dice ad un amico “non pensare ad un elefante” e lui ci pensa, il nostro cervello non conosce la negazione.


La gestione di tutto questo sfocia nei caratteri diversi, nel contesto in cui ci si trova, dal campionato che si affronta, ma ogni atleta conosce il peso di una brutta pre
stazione e questo fa parte dell’ennesimo lato B.


Sono fermamente convinto del fatto che quando ci ritroviamo a guardarci le scarpe sia necessario ricordarsi immediatamente che sono consumate per gli innumerevoli allenamenti e che quei piedi sono arrivati fin lì perché han saputo andare alla velocità

necessaria, che quelle ginocchiere servono a sottolineare che in uno sport come il nostro anche durante il gioco cadiamo spesso ma ci rialziamo subito perché non c’è tempo di fermarsi.


Prima si accettano gli errori prima si impara da essi.”

K2_LAST_MODIFIED_ONThursday, 22 December 2016 09:54

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